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Mostre in corso

studi sul reale - Federico Tilli
"A prescindere da ciò che puoi pensare, la realtà rimane sempre la realtà”. A Spazio Unimedia contemporary art la nuova ed emozionante mostra di Federico Tilli, sul reale e il non logico, le pratiche orientali, lo zen e la nostra quotidianità
Federico Tilli, atto performativo scacchiere - 7-8 dicembre 2024, Monastero Zen Sanboji, Berceto
Federico Tilli, atto performativo lezione di kendo - 21 gennaio 2023, spazio espositivo Fabbrica Urbana, Fano
Federico Tilli, atto performativo taglio dei capelli - 15 marzo 2025, Villa Borzino, Genova
Federico Tilli, atto performativo lezione di kendo - 08 Giugno 2024, Complesso Monumentale di S. M. di Castello a Genova
“Lezioni di kendo” taccuino 13 x 21 esposto su leggio
studi sul reale, locandina 2025, Genova

Non tutti gli artisti sono giocatori di scacchi, ma tutti i giocatori di scacchi sono artisti

Marcel Duchamp 

La prima cosa che mi venuta in mente parlando con Federico Tilli del suo lavoro è stato l’uso assolutamente improprio che della scacchiera hanno fatto parecchi artisti contemporanei come Paul Klee, Vassily Kandinsky, Sonia Delaunay, René Magritte, Max Ernst, Takako Saito, John Cage (che secondo Duchamp è stato il peggior giocatore con cui abbia mai giocato) che hanno interpretato il gioco degli scacchi secondo le regole del “loro” gioco… Marcel Duchamp, che per un lungo periodo della sua vita ne ha fatto l’unica attività, dice “… sono l’alfabeto che plasma i pensieri, e questi pensieri esprimono la bellezza astrattamente […] Sono arrivato alla conclusione personale che mentre non tutti gli artisti sono giocatori di scacchi, tutti i giocatori di scacchi sono artisti. […] C’è un fine mentale implicito quando si guarda l’ordine dei pezzi sulla scacchiera. La trasformazione dell’aspetto visivo in materia grigia è una cosa che avviene sempre negli scacchi e che dovrebbe avvenire nell’arte.

Nel gioco degli scacchi, il “finale di partita” identifica la terza e ultima parte dell’incontro, dopo l’apertura e il mediogioco; vi si arriva solo se i due sfidanti sono entrambi esperti, altrimenti la partita si conclude prima. Sulla scacchiera sopravvivono pochi pezzi e anche il re è tenuto a interpretare un nuovo ruolo, da vittima ad aggressore: è una fase estrema. Ma, soprattutto, tale definizione rievoca il secondo grande capolavoro del teatro beckettiano Fin de partie (1955), dove i personaggi, apparentemente gli unici uomini superstiti, si muovono, non a caso, in uno scenario post-atomico.

La lettura psicanalitica evidenzia poi come la scacchiera, scenografia privilegiata della relazione sentimentale tra il re e la regina, distanti dalla solitudine esistenzialista del pedone, incarni la mappa dei desideri umani, anche sessuali, solleticati dalle mosse degli avversari. 

Tutto questo sparisce sulle scacchiere bianche di Federico Tilli… un colpo di spugna cancella le case e dà alle figure la possibilità di muoversi come vogliono. 

Dice Federico. «La passione che ho da anni per le filosofie orientali, in particolare il Taoismo e il buddhismo zen, (un pensiero ibrido fra la mia esperienza di occidentale e quello che ho acquisito studiando queste discipline) e la volontà di raccontare quello che considero un po’ come un viaggio di bordo…  penso che ognuno di noi si muova all’interno della propria vita secondo schemi che derivano dalla logica, ma in realtà poi il mondo non si muove secondo gli stessi schemi ed è dominato dalla casualità.  Una cosa si concatena all’altra senza che noi possiamo prevedere tutto e giochiamo quindi senza nessuna regola muovendo i pezzi come se fosse un una pratica meditativa, dando vita a un dialogo che ha come unico obiettivo quello di stare insieme a un’altra persona, di interagire con lei… Questo avviene in tutte le mie opere in cui l’idea «forte» è quella di una comunicazione non verbale, un target da raggiungere in un dialogo che non ha nessun altro obiettivo se non quello di esistere in quel preciso momento…”

E ora, in finale di partita, voglio ricordare una mia esperienza espositiva… era il 2003 e durante la Fiera di Bologna in cui esponevo arrivò la notizia dello scoppio della seconda Guerra del Golfo. Allora erano tempi di pace in cui tutti pensavamo che non ci sarebbero state più guerre dopo l’invenzione delle armi atomiche… Fu un colpo terribile per tutti… la fiera era deserta e lo sconforto si toccava con mano. In quei giorni fui invitata a partecipare alla Fiera del Libro di Belgioioso, vicino a Pavia. Un verso di Paul Eluard “Giocavamo con le immagini e non c’erano perdenti” fu l’ispirazione… Feci costruire una scacchiera di 2 metri per 2 e su ognuna delle 64 case posizionai un libro in copia unica che 64 artisti erano stati lieti di realizzare. Nessun perdente, perché l’unica mossa possibile era di spostare i libri da una casa all’altra, senza eliminarne nessuno!

Caterina Gualco

Genova, 4 giugno 2025

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DEEP UNDERGROUND EVENT - MAURO GHIGLIONE
DEEP UNDERGROUND EVENT è la doppia personale di Mauro Ghiglione, che inaugura sabato 15 marzo a Genova in due distinti spazi: Galleria SHAREVOLUTION contemporary art alle ore 16:00 con la mostra Inaffidabili apparizioni/in avvicinamento al paradosso e SPAZIO UNIMEDIA contemporary art alle ore 18:30 con Riflessioni/allontanarsi dal concreto. Le mostre rimarranno aperte fino alla prima settimana di maggio, secondo l'orario solito delle due gallerie.
2025 invito
P.S. Lettere (22)
DEEP UNDERGROUND EVENT - MAURO GHIGLIONE
Post scriptum 2
Post Scriptum 3
Post Scriptum 4

RIFLESSIONI/allontanarsi dal concreto  e  INAFFIDABILI APPARIZIONI/in avvicinamento al paradosso

Due nuclei distinti ma che vedono unite le opere in un unico evento: sono molteplici e differenti le sfaccettature che raccontano DEEP UNDER- GROUND. I due percorsi si compensano e si impregnano di apparizioni e riflessioni. Ghiglione cerca di rendere visibile un territorio celato, privilegiando come medium la fotografia e il disegno che dialogano con gli oggetti dei lavori installativi.

In Riflessioni (allontanarsi dal concreto) l’equilibrio o disequilibrio del sé rappresenta un momento di profonda intuizione nel lungo percorso di Mauro Ghiglione: il filo staccato dal suolo su cui l’equilibrista di muove, attratto e insieme respinto dall’horror vacui, e la pagina vuota di cui mittente e destinatario possono scrivere e riscrivere il contenuto, sono metaforicamente il delinearsi di una individualità estranea agli schemi e alle convenzioni della prospettiva comune. Ghiglione dal suo anarchico point of view vede quello che altri non vedono, o lo vede in modo diverso / unico in quanto è in-immaginabile e allo stesso tempo in-eludibile un linguaggio comune, valido per tutti.

Il concreto da cui ci si allontana è frutto del de-codificare, rifiutare un codice comune, astrarsi per leggere individualmente la realtà. Per questo ogni opera è un messaggio one-to-one tra l’artista e ogni singolo osservatore, dove è assente la risposta del destinatario così come non c’è il corpo del testo ma solo la data e il PS, post-scriptum, che ne fanno intuire qualcosa ma lasciano lo spazio a infiniti dialoghi. Emerge l’umano da un niente che niente non è, bensì è colmo di parole e significati.

A noi fruitori l’onere della Riflessione, che ci accompagni al profondo sottosuolo (deep underground) nella ricerca di un dialogo continuo con gli oggetti, la reificazione, e con i nostri emittenti immaginari.

In Inaffidabili apparizioni le opere in mostra, come l’artista stesso riferisce, sono combine wall paintings, dove la pittura su muro si combina ad elementi oggettuali divenendo parte integrante dell’opera. I crogiuoli della prima metà del ‘900, che l’artista ha prelevato da una fonderia e che sono inseriti in alcuni lavori in mostra (Fil rouge, Riapparizione) rimandano a un luogo di incontro e di scambio, dove le diversità e le differenze, anziché appiattite ed omologate, possono essere valorizzate nelle loro specifiche singolarità. Il tema dell’identità e della differenza ricorre anche nell’opera Genova mi kado, dove ogni identità - le aste da gioco identiche ma al contempo differenti - include tutte le altre, nella forma di tracce di queste ultime. Non meno importante, i crogiuoli sono anche luogo di trasformazione, di fusione e di sintesi. Essi, unitamente all’idea di libro - o meglio libri - mensola sui quali poggiano - diventano metafora della conoscenza, risorsa da sempre indispensabile per l’esistenza stessa delle società umane. La conoscenza intesa come strumento per comprendere i processi di trasformazione, per orientare gli uomini nelle azioni sociali, economiche, culturali, per dare significati ai valori dell’esistenza. Rispetto al sottosuolo filosofico, esplicitato dal titolo dell’evento, il DEEP UNDERGROUND, non manca un riferimento al pensiero di Emanuele Severino che è giunto a teorizzare, nei suoi scritti, l’eternità dei molteplici essenti. Sulla scia di questo pensiero, che giunge a negare ogni immutabile, ogni universale, ogni Dio, l’artista non soltanto esplicita nelle sue opere, con lucidità e consapevolezza, l’errore fondamentale che ha caratterizzato l’Occidente nella concezione dell’essere, ma ne indica anche l’errore etico che ne deriva: è ineluttabile che la creazione sia un voler esser altro, come ineluttabile che, per esser altro, occorre voler l’ annientamento dell’origine (Ingenua malafede, combine wall painting realizzato per l’occasione). Le opere esposte aprono a una nuova visione e alla capacità di guardare oltre; in esse si manifesta l’apparire del tempo, poiché svelano momenti passati e remoti, precipitando nel presente esperienze future, come il lavoro Time Capsule - Incipit 2025, ci mostra. In quest’opera la capsula in acciaio contiene il progetto e gli strumenti per il compimento di un’Opera da realizzarsi con la partecipazione di generazioni a venire.

Le mostre sono realizzate in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo di Venezia
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