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Mostre passate

NEL PRATO SOTTOCASA - Anna Lorenzetti
Dodici grandi tarsie tessili di Anna Lorenzetti, in cui il vivido impulso creativo si unisce ad una tecnica raffinata che ricorda le antiche tarsie marmoree, ritagliate secondo il contorno delle figure, con un risultato molto affine alla pittura. A cura di Ida Terracciano
NEL PRATO SOTTO CASA, 2018 cm 150x150
COME SULLA SABBIA BAGNATA, 2023 cm 82x102
PICCOLA New York, 2019 (particolare) cm 105 x 95
IL PROFILO DEL DUCA, 2022 (particolare) cm 98x78
CIRCUITI CELESTI, 2021 cm 165x67
IL GENIO DEL POZZO, 1998 cm 190x135
Anna Lorenzetti installa nello spazio espositivo una selezione di opere tessili dalle composizioni policrome, frutto della più recente stagione creativa, organizzate intorno alla centralità vivace di materiali diversi e di processi sperimentali di contaminazione. Sono arazzi inediti e in costante trasformazione, contrassegnati da articolate caratterizzazioni espressive e soluzioni estetiche; sono superfici “calde” attraversate da una dimensione fantastica e onirica, collocabili all’interno di un’ideale linea di continuità con la grande tradizione europea delle avanguardie storiche - penso alla libertà cromatica che congiunge Henry Matisse ad Alighiero Boetti - fino alle più recenti esperienze dell’arte contemporanea, oggi correttamente attenta a quelle produzioni che collegano a livello globale la dimensione artistica con quella dell’artigianato nelle sue infinite geografie. Anna Lorenzetti ha realizzato manufatti che esaltano l’energia vitale delle forme, trascrivendo attraverso l’ago, il filo, i tessuti di diversa qualità e spessore, immagini scaturite da una potenza arcana, generatrice di figure biologiche, luoghi, e oggetti appartenenti alla dimensione privata, variamente inserite in un ordine temporale “altro” e caratterizzate dalla forza dell’imprinting, frutto di una personalità prorompente.
Ida Terracciano
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BEN VAUTIER - L'ARTE TOTALE
Omaggio di SPAZIO UNIMEDIA a Ben Vautier, artista e performer fra i protagonista dell'arte contemporanea e del movimento Fluxus. Diceva: "L'Arte Totale è tutto (compreso il niente). L'Arte Totale è nel comunicare questo tutto. L'Arte totale è copiare. L'Arte totale è nella distruzione materiale dell'arte. L'Arte Totale è ignorare, dimenticare, evitare l'arte." A cura di Caterina Gualco
BEN VAUTIER - L'ARTE TOTALE
BEN VAUTIER - L'ARTE TOTALE
BEN VAUTIER - L'ARTE TOTALE

Come scrive la curatrice, Caterina Gualco, nell'articolo che verrà pubblicato a breve sulla rivista "Involucro":

Nell’intervista a Marcel Duchamp (intervista che diventerà poi il libro “L’ingégnieur du temps perdu”  - 1977) che in più riprese Pierre Cabanne fa all’artista l‘anno precedente la sua morte, a un certo punto gli pone la domanda se conoscesse qualche giovane artista che in qualche modo portasse avanti il suo modo di “sentire l’arte”… e Duchamp risponde: “C’è un giovane che mi manda delle piccole cose da Nizza…”.
Non credo possa esserci una miglior presentazione per Ben, soprattutto in questo momento, in cui per me parlare di lui è ancora motivo di incredulo dolore.
Per la storia, io conoscevo Ben attraverso le sue opere, ma non lo avevo ancora incontrato di persona. In una bella giornata dell’estate 1977 Claudio Costa mi ha proposto di andare a visitarlo. Claudio aveva conosciuto Ben, Vostell e Filliou perché avevano esposto insieme alla Galleria La Bertesca. Ben abitava già sulla Collina di Saint Pancrace, alle spalle di Nizza, dove ha vissuto fino alla sua partenza definitiva... in una casa che è un’opera d’arte totale... Trovarla era stata davvero un’avventura. C’era un indirizzo, ma nessuno che potesse aiutare con delle indicazioni. Un po’ come le colline che coronano Genova... adesso sono molto abitate, ma 50 anni fa erano praticamente deserte. Dopo un vagabondaggio di mezza giornata, finalmente la casa è apparsa come una Morgana... già allora tutta tappezzata di opere sulle facciate, con un giardino pieno di installazioni e di water e bidet a far da portafiori. Anche all’interno opere dappertutto, opere di Ben e degli artisti suoi amici, in un ordine incredibile da immaginare. In una stanza c’era ancora un cumulo di oggetti che facevano parte del negozio “Chez Cunengonde et Malabar” (acquistato e ora in mostra nella collezione permanente di Beaubourg)  dove Ben vendeva e scambiava libri, dischi e ogni genere di cose. Ben invitava gli ospiti a fare uno scambio... Io avevo preso una vecchia edizione in francese de “I quaderni di Malte” di Rilke (libro che conservo gelosamente, con una preziosa dedica sulla copertina) e mi sembra di ricordare di avergli lasciato un fazzolettino ricamato. Posso dichiarare che questo incontro ha cambiato la mia vita... A casa di Ben ho respirato il senso di libertà totale, la passione assoluta per l’arte e per la conoscenza in generale, il desiderio autentico dell’applauso oceanico, accompagnato da un senso di autocritica feroce. Ben ha fatto dell’ego la sua bandiera, ma lo ha dichiarato senza falsi pudori, continuando a divertirsi come un bambino che gioca facendo il proprio lavoro. Da quel giorno e fino alla sua partenza per un’altra dimensione, la nostra è stata una collaborazione continua, a Genova e in varie città d’Italia, in Francia, a Nizza, a Parigi, Blois, in Germania a Wiesbaden, con mostre, festival, incontri, eventi, pasta al pesto e grandi risate.

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ŽIVA KRAUS – PIÈCES UNIQUES. Franco Fontana – Presenze veneziane
La prima personale in Italia di Živa Kraus, artista e gallerista, fondatrice dell'IKONA PHOTO GALLERY di Venezia, porta a Genova il lascito di una vita dall'11 aprile al 22 giugno 2024
ŽIVA KRAUS – PIÈCES UNIQUES. Franco Fontana – Presenze veneziane

Živa Kraus, figura carismatica croata naturalizzata italiana, è nata a Zagabria, nella cui Accademia d’arte avviene la sua formazione in pittura, nel 1971 si trasferisce a Venezia città in cui fonda, nel 1979, Ikona Photo Gallery in Campo San Moisè, trasferita successivamente in Campo del Ghetto Nuovo. È come artista che, nel 1979, viene così recensita dallo scrittore Alberto Moravia: «Kraus è una realista dell’invisibile, né di più né di meno di quanto siano realisti del visibile un Courbet e un Guttuso».

Živa Kraus è internazionalmente nota anche come gallerista storica di fotografia. La presenza infatti in mostra di due opere fotografiche vintage (Presenze veneziane 1978) di Franco Fontana vuole essere una testimonianza visiva dei due specifici di Kraus: il disegno e la pittura in prima persona come artista, la fotografia nel ruolo di gallerista e curatrice.

La mostra Pièces Uniques si presenta allo spettatore come una selezione di una trentina di opere su carta dal 1972 al 2010, in cui ricorre il Leit Motiv di città, di una città unica in cui l’artista ha scelto di vivere, a cui non cessa di destinare il lascito culturale di una vita: Venezia. L’espressione francese Pièces Uniques/Pezzi Unici – che, al singolare non manca di ricordare una mitica galleria, che ha fatto storia, in Saint-Germain des Près a Parigi, fondata nel 1989 da Lucio Amelio - interviene quale invito a una condizione dello sguardo come raccoglimento all’interno di un tempio e quindi in termini cultuali e non di veloce fruizione. Il rimando è inevitabilmente a Walter Benjamin e al suo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica/Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, 1936, in cui l’opera, moltiplicata, mercificata, diffusa in una società consumistica di massa, perderebbe la sua aura.

Ogni carta di Živa Kraus a pastello, a carboncino, ritaglia un suo campo semantico in cui ricorrono titoli evocativi come sguardo, navigazione, volo, traccia, impronta, incontro, aria, città, gioco, suolo, éclat, Atlantico, laguna. Si delineano sulle pareti della galleria genovese città immateriali, attraversate da ricordi, da suggestioni calviniane, si percepiscono profonde sonorità, lontani echi di lingue slave, dialetti altri.

Sull’area multimediale, l’artista presenta in mostra il video in bianco e nero The Motovun Tape, 1976, ripreso dai Cardazzo e Varisco. La camera video segue la mano dell’artista che scorre sensibilmente sulle pietre di un muro a secco, mentre il rumore della registrazione in loco funziona come unico, diretto, fondo sonoro. Un canto del gallo interviene come squillante effetto di realtà. Questo video storico è un’opera chiave anche per comprendere il rapporto di sensorialità aptica (tattile) che l’autrice intrattiene con l’opera pittorica e in particolare con i suoi pastelli.

Le opere dell’artista italo-croata rinviano a una condizione visuale cosmica in cui si delineano mappe cromatiche su fondi solari o notturni. Una pubblicazione, intitolata Živa Kraus – Pièces Uniques, Maree editore, documenta la mostra in Spazio Unimedia – Contemporary Art Genova, e traccia un percorso degli straordinari incontri con artisti, star della fotografia, critici d’arte, direttori di musei, docenti universitari, scrittori e poeti, registi e musicisti, che hanno segnato la sua vita come, per citarne solo tre, a titolo d’esempio, Peggy Guggenheim, Gillo Dorfles, Alberto Moravia. Si percepisce nell’opera e nella vita di Živa Kraus il paradigma del viaggio come archetipo del nomadismo.

Viana Conti

THREADS, punto a capo
"Il disegno, come annotazione e limite, si dissolve per lasciare emergere differenti tecniche e linguaggi, in una dimensione processuale che evolve con lentezza e non si definisce da principio, ma, anzi, cerca la trasformazione" a cura di Paola Pietronave @andreahess_freiburg @francesca.migone
F. Migone
A. Hess
THREADS, punto a capo
A. Hess
F. Migone
A. Hess

Entrare in risonanza

a cura di Paola Pietronave

L’idea alla base di questo testo è di mettere in dialogo e in conversazione i lavori e le pratiche di Francesca Migone e Andrea Hess, in occasione della mostra presso la galleria SPAZIO UNIMEDIA a Genova. Si tratta di un parlare “a fianco”, più che di un “parlare di”, come indicato da Trin T. Min-ha, filmmaker, scrittrice, teorica della letteratura, compositrice e professoressa di Gender e Women’s Studies e di Retorica. Questa posizionalità permette di aprire all’ascolto reciproco e al confronto, al mutuo riconoscimento di somiglianze e differenze, senza la pretesa di decifrare e codificare, assumere e teorizzare con una “visione dall’alto”. In questa dimensione di vicinanza è possibile trovare aperture per inaspettate sensibilità e densità condivise, lasciandosi un necessario spazio di respiro e autonomia. Quanto fa seguito sono alcune note e domande emerse durante una conversazione tra le artiste e la curatrice, avvenuta in data 20 febbraio 2024.

Paola: Mi piace pensare questa mostra come l’occasione per un dialogo in divenire, una conversazione tra i vostri percorsi e lavori che attraversa lo spazio così come il foglio, conducendo a momenti di vicinanza, dialogo e confronto, così come a momenti di maggior respiro, le vostre ricerche possono trovare il proprio spazio e la propria dimensione... per questo motivo l’idea di una conversazione, in cui le vostre parole e le vostre sensibilità possono trovare il giusto spazio e tempo...

Andrea: Mi piace questa prospettiva. A tal proposito, sono incuriosita dai lavori in stagno di Francesca, a cui ti stai dedicando nell’ultimo periodo...

Francesca: Sì, si tratta di lavori recenti, che ho realizzato per sperimentare e discostarmi dalla pratica esclusivamente tessile che ho spesso portato avanti finora. Si tratta comunque di lavori sulle texture e sulle superfici, quindi il concetto di tessitura rimane, ma il linguaggio e la tecnica sono diversi. Si tratta di stagno colato in stampi di argilla, al cui interno ci sono vari elementi rocciosi, pietre e frammenti di ceramiche e plastiche raccolti vicino al mare. Alcuni elementi di stagno si trovano anche nelle corde, e in alcuni lavori tessili presenti in mostra... Il metallo è un elemento sempre presente.

A: In qualche modo l’attenzione è sempre verso l’ambiente, come nei tuoi lavori tessili. Qui noi ci distanziamo: tu lavori più guardando all’esterno, io lavoro più guardando all’interno e alla memoria.

F: È vero. Ho notato che spesso tu utilizzi fazzoletti e tessuti antichi. Qual è la storia dietro a questi elementi?

A: Spesso mi vengono regalati da signore che mi portano i loro corredi, entusiaste dell’idea che qualcuno li possa usare. Per me il tessuto è come la carta, e i filo nero è come la matita. Il disegno con la macchina da cucire mi permette di uscire da quell’ordine imparato attraverso il disegno, e mi sorprende. Quando cucio vedo solo la piccola porzione di tessuto sotto l’ago, e devo concentrarmi per non perdere il filo, che è anche un filo interiore, che seguo con il movimento. È anche un atto di memoria, ed è quello che mi incuriosisce; un’idea che non so come sarà alla fine. Mi piace la morbidità del tessuto, e la sua praticità: è leggero, mi accompagna ovunque. Quando disegnavo utilizzavo spesso la tecnica a olio e il graffito, sempre con un’attenzione alla linearità e, recentemente, in maniera inaspettata, sono ricomparsi i colori, una nuova sorpresa. Nei tuoi lavori sento simile l’attenzione alla linea, che il filo e il metallo sembrano seguire... Il disegno è una parte importante della tua ricerca?

F: Sì, c’è sempre una traccia o un’immagine di partenza, che sia una fotografia, o un disegno fatto da me, che poi viene trasformato nel processo e si perde. Ho dei fascicoli di carta velina archiviati, che sono i modelli da cui nascono i lavori, probabilmente questo approccio risale ai miei primi studi di moda, in cui tutto nasce dallo schizzo e dal cartamodello; un disegno essenziale, che poi andrà a scomparire nell’oggetto. Con il tessuto spesso è diverso, per me si avvicina alla scultura, per il tipo di manipolazione e di tecnica.

P: Come raccontereste il percorso dei lavori che avete scelto di portare in mostra?

A: Per me si tratta dello sviluppo del disegno cucito dal 2021: c’è il disegno più contemplativo, piccolo e concentrato, e un lavoro di dimensione più grande, Nessun dorma, una nave, che per me è un lavoro più gestuale, un disegno più libero e impegnativo da realizzare con la macchina da cucire. Ci sono anche oggetti scultorei - soft scupltures - che rispecchiano il mio interesse per la tridimensionalità, e una serie di cartoline, dresscode, che sono nate dopo aver visto a Milano insieme a mia figlia il muro dedicato ai femminicidi. Si tratta di un’osservazione, che fa uso anche di una certa ironia sulla costante esposizione del corpo nudo femminile.

F: Nel mio caso sono lavori diversi, che seguono le ricerche portate avanti dal 2020 a oggi. Il primo è un progetto sulla dimensione acquatica della città di Milano, realizzato durante una residenza, e si tratta di tre corde installate in forma circolare. Molti corsi d’acqua a Milano, così come nella Pianura Padana, sono stati tombati o bonificati, così ho scelto di percorrere a piedi la città per trovare tracce in cui l’acqua riaffiora, per seguirne il percorso.

Questo mi ha portato ad attraversare zone periferiche, cantieri, aree in cui la campagna incontra la città. Spesso molte mie ricerche nascono dal percorrere lo spazio, non in maniera casuale, ma a partire da un’idea, un nucleo di interesse. Ho così realizzato una documentazione fotografica, da cui originano i colori e i materiali dei lavori. Si tratta di una sorta di mappatura tridimensionale dei residui incontrati durante il percorso. In rapporto a questo, ho deciso di portare in mostra un lavoro che è dedicato all’ambito portuale, da un’osservazione di ciò che resta nel porto: corde vecchie, pezzi di rete rotti... Materiali che ho raccolto e attraverso tecniche di nodi e macramé ho trasformato in corde, con l’idea di realizzare un oggetto che sia a metà tra il manufatto e lo scarto trovato. Anche i lavori in stagno nascono in ambito marino e portuale, e anche in questo caso di tratta della raccolta degli elementi trasportati dalle onde. Mi interessava il concetto di risacca, un moto ondoso che gira su se stesso, l’onda che porta qualcosa tra gli scogli, lo plasma e lo riporta al mare; una manipolazione dei residui che avviene tramite l’onda. I lavori in stagno sono calchi della schiuma del mare, in questo caso della costa genovese, che imprigiona i residui e i detriti. Si tratta di una schiuma che diventa densa, “acqua sporca”, al cui interno si trovano componenti chimiche, organiche, plastiche, vicine al concetto di “vischioso”, che provoca disgusto e repulsione, sebbene faccia parte della dimensione umana e naturale. Si tratta quindi di tre sperimentazioni di forme e linguaggi diversi.

P: Ci sono elementi che risuonano tra le vostre pratiche, secondo voi?

A: Credo ci accomuni il voler osservare e percepire la società. Per Francesca il movimento nasce dall’ambiente, mentre per me nasce dall’interno, da una dimensione più intima, dalla memoria.

F: Trovo simile anche l’intervento su materiali che hanno una storia, o una moltitudine di storie, e la dimensione sperimentale, la riflessione su una manualità diversa dal disegnare o dal dipingere, in grado di aprire a un esito inaspettato, e che richiede di pensare al lavoro in un modo diverso, un “riflettere nel fare”.

Un attraversamento dell’ambiente esterno e dello spazio interiore, dunque, nato dall’osservazione e dall’attenzione per gli elementi minimi, l’infra-sottile, il residuo e la memoria, che vengono riportati sul foglio o sul tessuto e manipolati, in un processo trasformativo che si concede la sorpresa di un esito inaspettato, percorrendo e sostando nel tempo e nello spazio della ricerca e della contemplazione.

Il disegno, come annotazione e limite, si dissolve per lasciare emergere differenti tecniche e linguaggi, in una dimensione processuale che evolve con lentezza e non si definisce da principio, ma, anzi, cerca la trasformazione. I lavori delle artiste installati nella mostra seguono il ritmo di una conversazione, simili a un galassia con densità e ritmi differenti, in cui interrogarsi e avvicinarsi, per poi rarefarsi, in un attraversamento organico e coerente dello spazio.

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SEVEN UP
7 DONNE 1 MOSTRA collettiva al femminile per inaugurare l'anno 2024 sotto il segno della creatività e della passione.
ANIAN LIMB
CRISTINA MARIS
MARIA ALESSANDRA MARTINI
BERTY SKUBER
NERINA TOCI
GIULIA VASTA
Se i nostri occhi vedessero le anime invece dei corpi, 
quanto sarebbe diversa la nostra idea di bellezza.
Frida Kahlo


SpazioUnimedia è lieta di presentare come prima esposizione del 2024 la mostra "al femminile" SEVEN UP: sette artiste che in piena libertà propongono sette proprie narrazioni iconiche all'interno di un comune viaggio sensoriale ed emozionale.

Ciascuna artista è differente per esperienza esistenziale, percorso artistico e modalità espressiva, ma in forme diverse (pittura, fotografia, collage, digitale) si compone un unicum da cui emerge il tema relazionale, empatico, tipico del linguaggio femminile, dell'esprimersi della donna come soggetto creativo.

In questo insieme si distinguono l'incanto ondivago dei lavori di Berty Skuber, la ricerca di Gaia Lucrezia Zaffarano, che rivisita l'iconografia sacra, l'ironia dei corpi in bilico di Ania Limb, la suggestione dei limpidi schemi fotografici di Cristina Maris, le sequenze di Giulia Vasta in cui il gesto corporeo creativo/distruttivo si ripete nel divenire, la figura umana che sembra svanire nelle geometrie di Nerina Toci, la freschezza grafica ed espressiva dei collage di Maria Alessandra Martini.

Con Seven Up, che sarà seguita da altre due mostre che propongono artiste donne, fino all'estate 2024, SpazioUnimedia si conferma nella volontà di dare spazio e voce al mondo bellissimo dell'arte al femminile.

Dicono di sé:
Il lavoro di Lucrezia Zaffarano è una rivisitazione puntuale del patrimonio iconografico storicizzato e tradizionale con cui l’artista indaga le tematiche contemporanee. La pittura non è mai una mera questione di rappresentazione, serve secondo la poetica dell’artista a creare nuove domande e riflessioni sul mondo attraverso un’indagine antropologica
La ricerca di Giulia Vasta muove nei diversi media: video, performance, fotografia, installazione e pittura. La ricerca del senso, il passare del tempo e l’indagine sull’esistenza sono alcune delle tematiche che ritroviamo nelle sue opere, nelle quali il gesto corporeo raccoglie, conserva, custodisce, crea, distrugge e ricostruisce in un processo in continuo divenire.
Nerina Toci presenta nuovi lavori dove la figura umana necessita di essere individuata, cercata, e sembra quasi svanire senza lasciare traccia. La geometria è invece la parte di un discorso irrisolto, di una verità intangibile. La Toci esprime come sia difficile corrispondere nella logica e nelle contraddizioni, quando da un momento all’altro tutto può nascere e tutto può morire.
Il gioco di Berty Skuber è in qualche modo la partenza e l’arrivo di tutto, ma quale incredibile vagare della fantasia, dell’occhio e della mano muove immagini e sensazioni che si intrecciano a formare un unicum, un caleidoscopio sempre differente e mutevole che ci cattura e ci incanta in una galassia ondivaga tra realtà e irrealtà. E’ l’eterno presente che non nega né il passato né il futuro, ciò che è stato e ciò che sarà.
Nelle opere di Maria Alessandra Martini qui esposte si può rintracciare un filo conduttore molto forte che è la fisicità, la matericità presente talvolta in un dettaglio più o meno evidente che invita al contatto con l’opera stessa. Opere tattili oltre che visive dove il concreto vuole prevalere sul virtuale. In questo suo ”presente imperfetto” lo sguardo dell’artista si spinge fino a invitare o spettatore a farsi partecipe dell’opera stessa.
Guardando le foto di Cristina Maris nasce un’emozione estetico-spirituale vibrante all’unisono con ricordi e presenze. Generano suggestioni dell’essere che appartengono ai vari momenti esistenziali del sentimento, tutto proteso alla ricerca della bellezza semplice, entro limpidi schemi fotografici.
La ricerca di Ania Limb si concentra sui corpi delle donne, corpi in bilico, infilzati metaforicamente su forchette, oggetti sessualmente commestibili, reificati fino ad essere nutrimento. Corpi in disequilibrio, corpi in pericolo. Le pose leziose sono spietatamente smentite da oggetti incollati e pop-up trasformanti e deformanti.
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Max Diel - SALVARE QUALCOSA DEL TEMPO
SPAZIOUNIMEDIA è felice di proporre la prima mostra personale italiana di Max Diel, artista berlinese già noto sulla scena nord europea; sono opere vivaci e mosse da un continuo gioco di luci e ombre, che aprono finestre inattese sui muri della galleria. I lavori esposti rivelano, dietro ad immagini quotidiane, le emozioni ed il sentire soggettivo ma comune a tutti. Il colore ed i contrasti tra i diversi toni catturano l’osservatore invitandolo ad entrare nella scena riprodotta.
Venice, 2023 - olio su alluminio, cm 40x30
Wild camping, 2022-23 - olio su tavola, cm 50x40
Scrolldown, 2023 - olio su tavola, cm 50x40
Gatto, 2022 - tecnica mista su alluminio, cm 40x30
Shell, 2023 - tecnica mista su carta, cm 30x40
Le desir, 2022 - olio su alluminio, cm 40x30

Questo mio intervento prende inizio dall'ingresso al palazzo in cui Max Diel abita a Berlino e sulle cui due pareti laterali, contrassegnate dalla sagomatura di un duplice colonnato, ha 'affrescato', secondo il principio dell'estensione pittorico-paesaggistica, immagini che 'raccontano' la frequentazione estiva di un grande giardino pubblico, animato da alberi di salice, un lago con i suoi cigni e da famiglie colte nelle normali attività ricreative, come leggere e prendere il sole. Questo primo passaggio iconografico accoglie chi frequenta e accompagna con un tracciato decorativo l'accesso ai piani. 

Esattamente come avviene tutti i giorni, ecco che Max Diel persegue anche in questa nuova Collezione di tele e di carte, tracce che appartengono a quell'esperienza visiva - sua ma anche di noi tutti - che si raccoglie nel 'tempo quotidiano', che scorre sotto i nostri occhi lungo le ventiquattrore, forse e spesso ripetitivamente, ma sempre infinitamente diverse in base alle variabili del tempo e allo stato emotivo di tutti coloro che sono attori del giorno e della notte.

Una conferma di questo mirato clima espressivo ci viene fornito nel momento in cui lasciamo l'abitazione e raggiungiamo la Studio di Max Diel. Anche questo nuovo 'luogo' si rivela strettamente legato al processo in cui l'osservazione artistica trascrive fotogrammi dell'esistenza, dove ogni opera, appoggiata e distribuita lungo le pareti di questo grande ambiente, racconta di uno sguardo colto nella rapida frazione di un momento e della sua preservata presenza nella memoria dell'artista..."nella quale il tempo è fermo e lo spazio immobile" (David Hockney).  

Se questi sono i dati ambientali immediatamente più vicini alla vita dell'artista, la documentazione iconografica sposta la nostra attenzione verso un'estensione geografica molto più ampia e determinata dai suoi viaggi e dagli incontri che si susseguono lungo lo scorrere dei giorni; immagini di una quotidianità che nelle fasi di pittura subiscono quella 'particolarizzazione' e/o 'ritaglio' di prospettiva per cui raramente se ne riconosce lo specifico riferimento ambientale. Ogni tela tende a presentarsi più come particolare estratto che in forma descrittiva di una realtà collettiva; ogni soggetto si presenta come identità autonoma, estendendo nella relazione con il 'lettore' la geografia e l'habitat, il nome e l'ora, le necessità e i pensieri.  

Lo scorrere 'disordinato' delle tele e delle carte dalle pareti dello Studio a quello 'ordinato' di una galleria, si impone alla nostra percezione attraverso il deciso impianto del colore, frutto di quell'esperta pratica del dipingere che si configura 'scrittura' nel processo di trascrizione delle immagini catalogate dal ricordo: tutta la gamma dei verdi su cui si accendono il rosso il giallo e l'arancio, l'azzurro e il blu ospitano l'estensione del bianco, il rosa si scontra con le ombre amaranto.

Sono soggetti che osserviamo riuniti al patrimonio della 'Natura morta', volti che possiamo collegare alla 'Ritrattistica' e brani di vita che riconosciamo nelle 'Scene di genere', secondo il processo espressivo che vede il posizionamento dell'opera di Max Diel all'interno della figurazione contemporanea internazionale. 

Ora che ci troviamo in presenza del 'tempo' di Max Diel, si dovrà pensare a collocarne la posizione all'interno di un 'raccontare' che, voltando lo sguardo alle nostre spalle, alla storia artistica europea, ci conduce ad un processo di documentazione espressiva, caratterizzato dalla registrazione di mansioni e comportamenti, indipendenti rispetto a funzioni simboliche imposte dalla committenza; mi riferisco a quel processo 'anomalo' e 'raro', che ha operato sull'attenzione alla relazione casuale tra il gesto e lo sguardo, tra il fare e il pensare. 

Un micro cosmo di 'citazioni' dal patrimonio dell'arte antica ci racconta la presenza e il progressivo sviluppo e l'affermazione di una libertà espressiva interessata a 'raccontare' ciò che non ha importanza, che appartiene al caso, alla reazione individuale più privata, a ciò che non è noto e che presto si dimentica, così che la pittura sembra assumersi il ruolo di fissare la memoria dell'immagine; un lungo elenco, tra i grandi Maestri - forse nell'autoritratto 'sconvolto dal dolore' di Giotto sulla sinistra nella "Esequie di San Francesco" in Santa Croce - e una folla spesso anonima dell'arte - dalle segrete sinopie ai cicli di affreschi barocchi - attraversa le stagioni e le geografie dell'arte, non solo europea, all'interno del quale Max Diel consegna la testimonianza del suo e del nostro tempo, per "...salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più" (Annie Ernaux). 

Andrea B. Del Guercio

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Mauro Panichella - TUTTI GLI ARTISTI MENTONO
Chi è l’artista, quale è l’opera, chi mente? un gioco di relazione ed interpretazione che duplica le realtà di ciascuno, validandone tutte e nessuna. Vince chi partecipa a cura di Caterina Gualco
Tutti gli artisti mentono, stampa su carta
Tutti gli artisti mentono, installazione site specific
Mauro Panichella - TUTTI GLI ARTISTI MENTONO
Standstill-self portrait, fotografia
Smartphone 12
Rainbow Constellation, fotografia
"Il segno è qualsiasi cosa che consenta di mentire” - Umberto Eco

In questa mostra, che inaugura la stagione 2023-2024 di SpazioUnimedia, Mauro Panichella esplora il confine infinitamente mutevole fra l'individuo-artista e la tecnologia, confine che si va rapidamente modificando con l'evoluzione dell'intelligenza artificiale. 
Cosa succede quando le macchine producono arte? "Tutti gli artisti mentono", installazione site specific composta dal vecchio motore di una cucitrice industriale (gli objects trouvés sono  ricorrenti nel lavoro di Panichella) è un'opera d'arte che a sua volta produce un'opera d'arte (il segno primitivo della grafite sul muro) che esiste per sé stessa. Quando l'artista si ritira apparentemente dall'atto creativo, quali sono le conseguenze sull'originalità e sull'unicità dell'opera d’arte? La macchina come apparato autonomo di creatività esiste a partire dalle macchine trafilatrici di Jean Tinguely (Meta-matic n.6 - Parigi 1959) ma Mauro Panichella pone la macchina in rapporto/conflitto con la realtà insieme naturale e virtuale, evidenziando non solo la fragilità del linguaggio logico di fronte ad un'antinomia (il paradosso del mentitore) ma anche di fronte alla sproporzione incommensurabile fra la verità e la possibilità di conoscerla e di rappresentarla, nella consapevolezza che ogni frammento di verità si raggiunge attraverso una serie di artifici. 
Con la sua installazione Mauro Panichella pone in discussione anche il rapporto fra visitatore, artista e opera d'arte: come per le macchine da disegno di Hirst e Eliasson o le fotocopiatrici di Steven Pippin, è il visitatore stesso che azionando un pedale o un pulsante può mettere in moto o spegnere la macchina, avviando o sospendendo il processo creativo.
In mostra anche la moltiplicazione del segno nel cloud delle scritte in 24 lingue diverse, e gli smartphone dai vetri infranti, e pertanto illeggibili, metafore della onnivora comunicazione globale e insieme della virtuale incomunicabilità del concetto-arte.
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ART RACE - A TELE SPIEGATE
Sleeuwenhoek vs Flamminio Nell’ambito dell’evento Ocean Race, abbiamo voluto proporre due artisti, un italiano e un olandese, dal percorso artistico autonomo e originale, ma fra i quali ci è sembrato di ravvisare un’interessante coerenza tematica. La geometria, la purezza delle linee, l’essenzialità delle campiture, l’esattezza formale e la perfezione compositiva sono gli elementi di un linguaggio comune dalla valenza razionale e concettuale e dalla vibrante intensità emotiva.
ART RACE - A TELE SPIEGATE
ART RACE - A TELE SPIEGATE
ART RACE - A TELE SPIEGATE
ART RACE - A TELE SPIEGATE
night parrot_ sketch
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BEN SLEEUWENHOEK Frammenti iconografici e suggestioni cromatiche

Ho trovato una perfetta relazione tra la "natura" dello studio di Sleeuwenoek a Berlino e il suo lavoro, tra la grande luminosità che ampie vetrate raccolgono dalla luce di nord-est e la cultura 'limpida' delle sue opere, e ancora l'ordine che tavoli e librerie forniscono ad una volontà estetica compositiva. Tutto sembra condotto verso la ricerca di un equilibrio tra dati la cui diversità non spaventa il suo artefice; l'elaborazione di un'opera risulta il frutto esemplare di una sapienza espressiva maturata nel tempo. Attraverso un controllo attento degli strumenti linguistico-visivi, in particolar modo adattando il collage alle sue necessità espressive, Ben Sleeuwenhoek ha saputo promuovere il dialogo sperimentale tra frammenti iconografici e suggestioni cromatiche elaborando un patrimonio 'enciclopedico' di qualità; negli anni l'azione caleidoscopica di raccolta ha prodotto un vero e proprio "Archivio della Cultura e dell'Arte" confermando il ruolo del collage nella definizione a carattere progettuale della pittura contemporanea. L'ambito e le dimensioni globali della 'scrittura per immagini' vengono sottoposti da Sleeuwenhoek a indagine e revisione; sottoponendo ad un processo di rielaborazione frammenti e soggetti, temi e spunti, giunge a dar loro una nuova forma con risultati esemplari e un'impaginazione che non può essere messa in discussione. Tutto appare perfetto, ogni foglio compiuto, ogni pagina e ogni libro completato così che la precisione non appare un condizionamento e il rigore un limite.

Il tempo diventa una 'bolla' di creatività in continua auto-trasformazione: rispetto all'archivio figurativo diffuso nel passato, Sleeuwenhoek conserva l'unicità di un singolo oggetto, centralizzando su di esso la sua attenzione; sceglie di soffermarsi e di dedicarsi alla presenza del sonaglio dorato, costruendo intorno ad esso una realtà cromatica accesa, diremmo 'sonora'. Si tratta di una ricerca che corrisponde ad un'ulteriore fase di concettualizzazione del linguaggio in cui i due soggetti si contaminano, sollecitando la reciproca reazione.

Andrea B. Del Guercio


ANTONIO FLAMMINIO Oggetti pittorici per la ginnastica mentale

Gli Oggetti pittorici per la ginnastica mentale appartengono al “periodo razionale” che Antonio Flamminio ha attraversato nel corso degli anni Settanta, culminato con il complesso allestimento ideato per la mostra “Arte e scienza” (Teatro del Falcone di Palazzo Reale, Genova, 1979), tesa a vagliare le possibilità di rapporto tra i due universi ideativi, cui appartiene la grande “Bandiera” nuovamente esposta in questa occasione. 

Si tratta di opere che accoglievano la lezione dell’astrattismo geometrico, diffusamente praticato in Italia nei decenni precedenti, in una versione del tutto personale che fondava l’elaborazione della forma su rapporti predeterminati e la modulazione del colore su formulazioni matematiche elementari.

A queste modalità costruttive Flamminio associava un intento etico, intrinseco per un verso alla stessa dinamica progettuale, ma connotato socialmente: l’artista vi poneva in essere, infatti, una prassi compositiva tale da consentire allo spettatore di “possedere” l’oggetto-quadro mediante l’identificazione dei criteri in base ai quali era strutturato, direttamente avvertibili all’analisi, aggirando lo scoglio della dipendenza da retrostanti componenti culturali complesse. 

“Il fruitore – annotava Flamminio in uno scritto coevo – può, attraverso la scoperta dell’impianto costruttivo, percorrere a ritroso l’esperienza dell’autore e giungere così al cuore concettuale dell’opera, incontrando sulla sua strada l’attraente ostacolo del bello artistico”.

Ma, al di là di questa “funzione pedagogica”, intesa a proporre un linguaggio estetico comprensibile a chiunque voglia riflessivamente accostarvisi, nelle tele di Flamminio si innesta una funzione immaginativa che muove da un alfabeto essenziale, fatto di proporzioni, di bande verticali e orizzontali, di rari elementi obliqui, di graduazioni cromatiche attentamente governate e talora sovvertito da tratti curvilinei, quando non direttamente ispirato a teoremi euclidei, per giungere ad esiti di una quieta felicità visiva, in costante trasformazione.

Sandro Ricaldone

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MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT
Energia, luce, immaginazione sono il filo conduttore del lavoro di Maya Zignone, che SPAZIO UNIMEDIA ospita dando il benvenuto all’estate, al fecondo, alla gioia. La sua ricerca, originata a partire da segni su piccoli fogli di carta, si basa su un’idea di spazio e di vuoto, come lettura di equilibri, di forze, di pause, di scansioni tra la luce e il buio. Con lei saremo liete di prendere parte alla quarta edizione di Be Design Week 2023, nel Chiostro di Santa Maria di Castello, dal 23 al 28 maggio prossimi.
MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT
MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT
MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT
MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT
MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT
MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT

Cercare continuativamente delle idee che siano all’insegna dell’equilibrio tenendo sempre attiva la tensione che mi serve soprattutto perché non si diano dei cali di energia. Da qui la definizione di percorsi e strutture per inventare nuove spazialità, magari appena intraviste, connesse a una forma, quindi all’inesistente, insomma a un pensiero. Lavoro in sostanza sul vuoto: che si delinea, si dilata e così facendo dà luogo all’invenzione, a dimensione altra, fino alla definizione di uno o più spazi in cui l’osservatore può entrare e uscire come attraverso un ‘gioco’ serio, rimanendone forse contaminato. Utilizzo principalmente la luce, è molto importante per me, diventa strumento compositivo e diventa forma, mi permette di creare scenografie che dialogano con lo spazio in bilico fra realtà e invenzione, architettura e idea, teatro e vita, nascono accordi come nella musica, che regola ogni rapporto creativo. Perché qualsiasi suono, anche i rumori, sono musica: John Cage diceva che anche ogni rumore è musica, basta saperlo organizzare.

Maya Zignone


Lo spazio non è una struttura astratta e geometrica, ma l’estensione reale dell’intuizione e dell’esperienza.

Leonardo da Vinci


       Maya Zignone – oltre il vuoto c’è solo lo spazio

“Una linea è soltanto una linea”, scriveva Piero Manzoni sessant’anni fa. “Just Light” recita una delle opere di Maya Zignone esposte in questa inedita occasione genovese. Effettivamente si può far risalire agli anni Sessanta, a quella fervente e rivoluzionaria epoca – minimalista e concettuale, ma anche carnale, sensibile, ecologista e sociale – l’origine del linguaggio espressivo di Maya. A dimostrarlo non è soltanto l’esplicito utilizzo del neon colorato, teso a costruire relazioni con l’architettura e lo spazio, sempre e comunque rivolgendosi all’interlocutore emotivo e psicologico umano. C’è di più. Un segno primario, che corre e attraversa tutte le sculture, le fotografie e le foto, restituisce il senso installativo, ambientale e performativo ai diversi media impiegati dall’artista. Si tratta di un segno pre-linguistico ma anche post-industriale e post-tecnologico. Si tratti di un tondino di ferro spiralato o di una serpentina di neon orizzontale, questo segno ha origine nel profondo sentire emotivo di Maya Zignone e inizia a prendere forma dal disegno. Stupisce pensare che alla base di questi ambienti immersivi e multimediali ci sia il disegno: matita e gomma per governare equilibri tra pieni e vuoti. L’azzeramento di forma e colore è astrazione necessaria a ripulire la mente dal turbine di immagini, segnali e stimoli cacofonici con cui lo sciame digitale amplifica l’ideologia del consumo. Il silenzio del foglio bianco è una tabula rasa dalla quale ripartire: la matrice virtuale che restituisce corpo e sostanza a spazi mentali. Stabilizzate le tensioni in vettori e contrappunti grafici, Maya Zignone può invadere lo spazio tridimensionale e confrontarsi con il corpo, prima di tutto, ma anche con i ritmi, le pulsioni e le difficoltà del reale. In generale l’opera di Zignone ha molto a che fare con il concetto di cura. Si tratta infatti di un lavoro teso a sviscerare e rammendare i meccanismi che innescano il blocco comunicante fra individui. Nel confronto con lo spazio e con il pubblico, anche la luce colorata del neon e la fotografia diventano energie da organizzare. Si percepisce pertanto un equilibrio interno ad ogni singola opera, ma anche un bilanciamento stabile, fortificato dalle relazioni che i lavori stabiliscono reciprocamente attraverso una precisa funzione fondamentale, variabile ma sempre costante e interna allo spazio, una funzione che non è altro che la nostra umana e spogliata presenza.

Luca Bochicchio



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Mauro Ghiglione, APPROSSIMAZIONE INFINITA
La dicotomia tra due concetti, descrittivo ed estetico, connessi in modo inestricabile consente soltanto di procedere per approssimazioni che saranno ineluttabilmente infinite.
Estremo
Occidente
Crepuscolo star
Hands
C’entra il cavallo
Dialogo sposa folle

La mostra Approssimazione infinita di Mauro Ghiglione, che torna dopo tre anni con una personale nel nuovo Spazio Unimedia, e che è corredata da un catalogo con testi, riflessioni ed osservazioni  dell’autore - edito da Sagep - Genova,  presenta un insieme di opere d’arte contemporanea con decisi riferimenti all’arte concettuale.

Le opere in mostra sono state realizzate con un uso ineccepibile della forma, con le quali l’artista esplora l’interazione tra la forma stessa ed il suo contenuto per arrivare ad un componimento che, come Ghiglione stesso scrive in catalogo: [..] può essere tutto e il suo contrario, alla ricerca di una minima dilatazione, un’opera che, paradossalmente, può perfino non esistere a condizione che qualcuno la racconti.

Le opere di Ghiglione esplorano l’idea che la forma sia insieme un elemento plastico, un mezzo espressivo, ed un concetto. Nella sua ricerca, l’artista cerca di raggiungere un equilibrio dinamico tra le diverse forme espressive utilizzate, incoraggiando una relazione tra le strutture formali e l’ambiente circostante.

L’esposizione presenta una ricerca il cui risultato è una mostra con opere che sfidano le convenzioni dell’arte concettuale e sottolineano da un lato l’importanza della forma come mezzo espressivo ed evocativo, dall’altro il pensiero radicale sintetizzato in concetto, incoraggiando così la riflessione quale fosse unica modalità di rappresentazione. 

La mostra darà al visitatore l’opportunità di esplorare tale relazione e di riflettere sui limiti della rappresentazione visiva in modo tale che, per utilizzare ancora parole dell’autore: [..] il momento descrittivo e il momento espositivo/valutativo sono connessi in un rapporto di sinergia tale da rendere inutile qualunque tentativo di catturare un aspetto del significato indipendentemente dall’altro.

Documento:Invitodefinitivo.pdf
FRAME - Giulia Vasta, 21 gennaio/25 febbraio 2023
Con un segno e un messaggio fortemente femminili iniziamo il 2023 presentando FRAME di Giulia Vasta, sintesi significante e testimonianza del suo percorso artistico. In FRAME Giulia ha operato recuperando gesti, appunti, immagini e oggetti sospesi e riproponendoli in istantanee e sequenze che fermano illusoriamente il tempo e lo dilatano in una dimensione di infinito.
FRAME - Giulia Vasta, 21 gennaio/25 febbraio 2023
CORNICE per contenere, preservare, conservare, proteggere. TELAIO per dare STRUTTURA, forza ma anche ordine fisico e mentale. OSSATURA per sorreggere un pensiero, ARMATURA per difenderlo. CORPO per dargli sostanza e FORMA, per dare vita. INQUADRARE per decidere, scegliere. INCORNICIARE per prendersi cura di qualcosa e al tempo stesso elevarla da oggetto comune a qualcosa da guardare. DARE FORMA, dare vita a qualcosa che prima non esisteva o esisteva solo in parte.
Sono partita da questa parole per mettere in ordine pensieri e azioni sparsi nella memoria, in vecchi appunti, in foto scattate, in oggetti trovati, custoditi, persi e ritrovati. In vecchi video realizzati o in attesa di esserlo, in progetti lasciati in sospeso. Ho frugato, ho cercato, ho trovato, ritrovato e rielaborato immagini, pensieri, sensazioni. Le ho inquadrate, in cornici, in fotografie, in video e le ho trasformate in FRAME.    Giulia Vasta, 10 Gennaio 2023


La mano che fa dondolare la culla è la mano che regge il mondo (William Ross Wallace)

“Bene, queste sono le stesse sensazioni che mi danno le immagini tratte dai suoi video: le mani che si lavano strofinando una saponetta, fino all’esaurimento della stessa, la montagnola di sabbia che le mani costruiscono sulla battigia, dove l’onda la ritrasforma immediatamente in minuscoli frammenti, le mani a coppa che raccolgono l’acqua che inesorabilmente scivola tra le dita. E’ tutto un fare che non porta a nulla, ma trova la sua ragione proprio nel fare stesso.”

Cominciare un testo con un’autocitazione non è probabilmente qualcosa che potrebbe essere insegnato in una scuola di scrittura… Ne sono consapevole, ma sono consapevole anche della libertà che è concessa a chi si occupa di arte da più di 50 anni. Sono nella stanza dove abitualmente lavoro, e di fronte a me, in alto, è appeso un lavoro di Giulia Vasta, proprio la fotografia di due mani che stanno ammucchiando la sabbia come se fosse farina pronta per fare il pane. Ho davanti a me il testo con il quale mi “racconta” la sua mostra, testo accompagnato da immagini molto  belle che saranno poi le opere esposte. Sono decisamente incantata… la ragazzina che ho conosciuto più o meno 10 anni fa, innamorata della pittura che era già in grado di dominare perfettamente, è diventata un’artista “adulta”, sicura di sé, del suo fare e delle ragioni che la spingono a fare.

Qualunque cosa presenti, qualunque immagine, ha il suo input in un gesto, quello che Claudio Costa aveva definito “…l’antico gesto di fabbricazione”… le mani che impastano il pane, che sciolgono i nodi, che stendono la carta stropicciata… E’ tutto un fare, “una serie di piccole azioni semplici registrate in video con inquadratura in soggettiva sulle mani e dai quali vengono estratti e messi in sequenza solo alcuni frame… “.

Avanti Giulia…il tuo è un inno all’amore!

Caterina Gualco, 13 gennaio 2023

Il lavoro di Giulia Vasta si percepisce con tutti i sensi. Nello spazio indefinito delimitato dalla cornice viene rievocata la melodia della carta che si stropiccia, delle mani che muovono i piccoli oggetti e plasmano i materiali.

Un laboratorio di continua ricerca della forma perfetta, sempre in crescita, in evoluzione, un perenne creare “non finito”. Vedere, ascoltare, respirare e toccare. La mostra si propone come un’esperienza multisensoriale, ad occhi aperti, coerente nella sua varietà; un percorso di lavori eseguiti in momenti diversi ma con un robusto filo conduttore. Estrapolare un frammento del reale per proteggerlo e conservarlo gelosamente è come una madre che in maniera istintuale difende la sua creatura dal mondo esterno.

Questa delicatezza, questo senso di protezione e di torpore uniti in una straordinaria esplosione di energia tutta femminile conquista lo spettatore, che si fa parte del miracolo della creazione.

L’intimità che si intuisce nella scelta dei materiali e nella realizzazione multisensoriale delle opere, rievoca l’ambiente del ventre materno, dove l’ascolto dei suoni ovattati dell’ambiente “al di fuori” avviene come primissimo approccio al mondo e si fa sempre più confortante e familiare a poco a poco, giorno dopo giorno.

Giocare con i sensi e le suggestioni, senza mai esagerare, rimanendo nello spazio garbato e confortevole che non ha bisogno di stupire per essere eccezionale, con la curiosità della bambina che esplora l’indefinito per dargli forma, per poi cancellare tutto e ricominciare da capo rimanda al ciclo continuo e infinito della vita.

Grazia Previati, 12 Gennaio 2023

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Blaise Patrix - Les anges déchus
Lavori recenti di “art socia(b)le” dal 24 novembre 2022 al 10 gennaio 2023
Vitale, cm 80x56
Symbioses, Piuma solare, 2014 Olio su tela cm 50 x 50
Gli angeli caduti, Voudon tecnica mista su cellulosa, cm 222 x 64
Symbioses, la notte, 2020 Tecnica mista su tela, cm 161 x 125
Gli angeli caduti, Risalita, 2021 monotipo su cellulosa, cm 180 x 64
Gli angeli caduti, In cima al mercato, 2022 Tecnica mista su cellulosa, cm 192 x 64

«Essere è cambiare nella relazione con l’altro, rimanendo se stessi», «Aprirsi all’ignoto che nasce dall’incontro» (Glissant, Noudelmann)


Nato a Parigi, nel 1953 da una famiglia di artisti, Blaise Patrix si forma al di fuori delle rotte consuete. Grande viaggiatore, percepisce se stesso come una sorta di migrante particolarmente sensibile alla diversità dei punti di vista. La curiosità, il caso e l’intuizione hanno un ruolo importante nella sua vita e nel suo lavoro.

L’esperienza maturata avendo vissuto per vent'anni in un quartiere operaio dell’Africa Occidentale, lo ha positivamente influenzato al punto di renderlo orgoglioso di aver ottenuto la cittadinanza del Burkina Faso. Il suo lavoro è stato apprezzato  internazionalmente (USA, Caraibi, Africa, Europa, Cina). Blaise Patrix esplora, sia in studio sia in strada nell’interazione con il pubblico, mediante progetti che ama chiamare di « Art Socia(B)le », l’impatto relazionale della ricognizione sotto tutti i suoi aspetti:  conoscenza di sé, dell’altro, e del divenire, esplorazione, identificazione, gratificazione e gratitudine. 

Nel suo studio Blaise Patrix esplora, attraverso cicli di opere  successive o parallele, le molteplici possibilità di esprimere con la pittura ed il disegno, ciò che egli percepisce dell'evoluzione del mondo.  Della serie « les anges déchus » realizzata con tecniche differenti, opache e trasparenti,  a partire da macchie astratte prodotte con l’inchiostro grasso con la stampa a monotipo, egli dice:«Curiosità, attenzione, lucidità, rispetto:  dipingere è talvolta trovare il significato dei sogni. Il futuro dipende da ciascuno di noi, i nostri occhi diventano più chiari quando vediamo noi stessi attraverso gli occhi degli altri, le nostre caratteristiche si rinforzano, i nostri preconcetti si destabilizzano. Nel bene e nel male risorgono gli angeli caduti». (...) Le forme che crea con la diffusione organica dei pigmenti al suolo, i riempitivi e i leganti oleosi e sintetici, contrastano con la razionalità dell’angolo retto.  Un sottile supporto di tessuto non tessuto garantisce resistenza, flessibilità e malleabilità al risultato.  L’utilizzo dei pigmenti fotoluminescenti restituisce per un lasso di tempo nell’oscurità, la luce immagazzinata. La discrepanza tra ciò che appare a seconda della luce, mette in discussione le certezze dell’osservatore. 

Dopo una quindicina di anni di silenzio volontario, Blaise Patrix propone di nuovo la sua produzione artistica. « Fino ad ora l’umanità non aveva mai avuto così tante informazioni sulla vita e sull’alterità. E’ una grande opportunità per imparare a vivere oggi. Ogni nuovo giorno è ricco di nuovi incontri».

Pascal Vrignaud, 2022

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Tutto appare perfetto
6 ottobre - 17 novembre 2022
senza titolo
senza titolo

Tutto appare perfetto, ogni foglio compiuto, ogni pagina ed ogni libro completato.

Andrea B. Del Guercio

Ho trovato una perfetta relazione tra la "natura" dello studio di Sleeuwenoek a Berlino e il suo lavoro, tra la grande luminosità che ampie vetrate raccolgono dalla luce di nord-est e la cultura 'limpida' delle sue opere, e ancora l'ordine che tavoli e librerie forniscono ad una volontà estetica compositiva. Ho potuto osservare come lo spazio in cui l'artista vive e opera possa rappresentare non solo un luogo operativo ma anche offrire una perfetta condizione di osservazione e di studio, fino a suggerire l'idea che sia creata quell'unità inscindibile tra arte e spazio in cui lo stesso artista si muove facendone parte. Tutto sembra condotto verso la ricerca di un equilibrio tra dati la cui diversità non spaventa il suo artefice; l'elaborazione di un'opera risulta il frutto esemplare di una sapienza espressiva maturata nel tempo; ogni 'pagina' e i diversi 'libri' e gli oggetti-sculture nascono da procedure che hanno saputo piegare l'occasionalità verso una nuova serie di valori. Attraverso un controllo attento degli strumenti linguistico-visivi, in particolar modo adattando il collage alle sue necessità espressive, Ben Sleeuwenhoek ha saputo promuovere il dialogo sperimentale tra frammenti iconografici e suggestioni cromatiche elaborando un vero e proprio patrimonio 'enciclopedico'; negli anni l'azione caleidoscopica di raccolta ha prodotto un vero e proprio "Archivio della Cultura e dell'Arte" confermando il ruolo del collage nella definizione a carattere progettuale della pittura contemporanea, così come è avvenuto con la saldatura per la scultura. Mi sono posto di fronte al volume antologico "Een keuze" in cui si racconta la storia artistica di Sleeuwenhoek fra il  1987 e il 2001, scoprendo quanto il rapporto di continuità con il presente indichi la contaminazione tra una grande ricchezza di idee e una metodica processualità sperimentale; attraverso un insistito lavoro di selezione dei più diversi e tra loro distanti apparati iconografici, spesso provenienti dal patrimonio sociale, giunge, opera dopo opera, ad una sempre nuova grammatica. L'ambito e le dimensioni globali della 'scrittura per immagini' vengono sottoposti da Sleeuwenhoek a indagine e revisione; sottoponendo ad un processo di rielaborazione frammenti e soggetti, temi e spunti, giunge a dar loro una nuova forma con risultati esemplari e un'impaginazione che non può essere messa in discussione. Tutto appare perfetto, ogni foglio compiuto, ogni pagina e ogni libro completato così che la precisione non appare un condizionamento e il rigore un limite. Sulla base di una presa di visione diretta del luogo di lavoro con caratteristiche di concentrazione intellettuale, di registrazione di una particolare attenzione alla cultura dei materiali e quindi di apprezzamento e di condivisione con la grande sensibilità di Sleeuwenhoek, risulta che tutto ciò avviene in una sorta di sospensione del tempo; non si tratta, per ogni carta o libro o scultura, di un avanzamento a tutti i costi ma di una produzione frutto della trasformazione, determinata da un immobilismo produttivo, mai ripetitivo ma auto-rinnovativo che macina se stesso aggiungendo come un alchimista frammenti che rinnovano. Il tempo diventa una 'bolla' di creatività in continua auto-trasformazione, da cui anche queste più recenti carte hanno origine e di cui sono testimonianza. Rispetto all'archivio figurativo diffuso nel passato, Sleeuwenhoek conserva l'unicità di un singolo oggetto, centralizzando su di esso la sua attenzione; sceglie di soffermarsi e di dedicarsi alla presenza del sonaglio dorato, costruendo intorno ad esso una realtà cromatica accesa, diremmo 'sonora'. Si tratta di una ricerca che corrisponde ad un'ulteriore fase di concettualizzazione del linguaggio in cui i due soggetti si contaminano, sollecitando la reciproca reazione.  


...ALONG THE LIFE - Philip Corner FLUSSI -...
16 settembre al 2 ottobre 2022
...ALONG THE LIFE - Philip Corner FLUSSI
"Along the life" e "Flussi", titoli in movimento che evocano il libero divenire della ricerca artistica e l'interesse alla relazione, in primis con l'osservatore. 
Spazio Unimedia raccoglie due artisti di età diversa, dialoganti nella relazione con il movimento FLUXUS, il cui sessantesimo anniversario è celebrato in queste settimane al Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova.

Spazio Unimedia partecipa con gioia all'evento cittadino Fluxus Sixty Years, proponendo un'esposizione trasversale della vasta produzione di Philip Corner, protagonista del movimento storico nato a Wiesbaden nel 1962, ed una stanza per le opere impalpabili e allo stesso tempo maestose come un bosco, di Francesca Migone, artista trentenne. 

I lavori di Corner risalenti agli anni 90, dagli Orgasmi a Squared, da Silence a Petali Pianissimo che faranno da sfondo alla performance di sabato 17 (ore 18), offrono un spaccato tangibile e fondamentale per l'esperienza Fluxus, evocano note non suonate, chiamano il vento, accennano a spazi in cui ognuno può rifugiarsi e riconoscersi, e di cui Caterina Gualco scrive: "Il primo incontro con Philip Corner persona, in realtà è stato un non-incontro" e "per me Philip è la musica", a testimonianza dell'apertura e dell'accoglienza dell'arte come spazio vitale e viceversa, della vita come ambiente illimitato per l'arte.

Nata dall'interesse per le zone ibride nelle quali l'elemento antropico entra in contatto con  quello naturale, l'installazione di Francesca Migone, a cura di Alessandra Gagliano Candela, ha preso avvio nella primavera del 2021 dopo il lockdown e si è sviluppata nel corso dell'anno dall'indagine sui boschi dell'entroterra genovese e dal ritrovamento nella casa di campagna dei fuselli appartenuti ad un'amica di famiglia.  Le curve che si delineano nell'attorcigliarsi della materia,  scelta  per la sua rigidità, segnano la presenza quasi impalpabile della natura sul bianco del muro e dialogano con i segni delle opere di Philip Corner, generando un flusso anzitutto visivo tra il lavoro dei due artisti.
88: NEW WORKS & COLLABORATIONS by Philip Corner, Jack Massing...
11 giugno - 10 luglio 2022
88: NEW WORKS & COLLABORATIONS by Philip Corner, Jack Massing
"88 (gli anni di Philip Corner e il numero dei tasti del pianoforte)" nuove opere e collaborazioni di Philip Corner, Jack Massing e Sean Miller.

11 giugno 10 luglio 2022

“88” presenterà il lavoro di Philip Corner, Jack Massing, Sean Miller e amici. Corner, Massing e Miller presentano nuovi progetti individuali e in collaborazione che includono partiture, oggetti trovati, sculture, musica aleatoria, performance e musei in miniatura.
Massing e Miller presenteranno i loro video recenti “The exquisite moving corpse”, prodotti in collaborazione con Chip Lord (precedentemente AntFarm) e in collaborazione con altri 57 artisti visivi da tutto il mondo. Inoltre la mostra presenterà due nuovi kit del John Erickson Museum of art Fluxus con multipli e lavori basati su testi di Corner, Massing, Miller, Björk, Chiaozza, Eric Friedman, Edgar Heap of Birds, Oliver Herring, Connie Hwang, Alison Knowles, Yoko Ono, Ben Patterson, Tom Sachs, Mieko Shiomi, Ben Vautier, Andrew Yang e altri.

PHILIP CORNER, che lavora con la galleria dal 1990, ha iniziato la sua attività sotto “l’ombrello” Fluxus inviando al primo Festival di Wiesbaden nel 1962 la partitura della performance “Piano Activities”, che è diventata poi il simbolo di Fluxus. In essa i performer trasformano un vecchio pianoforte, non più in grado di suonare, in un’opera visiva. Un esemplare è stato realizzato durante la mostra “The Fluxus Constellation” a Villa Croce nel 2002 e fa ora parte della collezione del museo. Molte delle sue partiture sono di durata indeterminata, in quanto alcuni elementi sono specificati, ma altri rimangono parzialmente o interamente alla discrezione degli esecutori. Il contatto con gli artisti di altri ambiti, in particolare quello della danza e delle arti visive, così come un interesse profondo per le religioni orientali e lo studio della musica dei compositori barocchi e pre-barocchi influenzano particolarmente la sua attività compositiva.
Egli divide la sua produzione in cinque periodi, ciascuno riflette un approccio diverso, riassumibile in una parola:

Cultura: anni '50
Mondo: anni '60 e '70
Mente: anni '70 e '80
Corpo: anni '80 e '90
Spirito e anima: dal 1999 a oggi

Oltre al suo lavoro di compositore e musicista, ha creato numerosi assemblaggi, calligrammi, collage, disegni e dipinti, installazioni, molti dei quali si trovano in importanti collezioni pubbliche e private.

SEAN MILLER esplora situazioni, pratiche, e informazioni che sostengono e definiscono le strutture di potere esistenti nell’arte e nella politica contemporanee. La sua arte impiega attività ossessive, scenografie assurde, ironia e ed estetismi estremi per introdurre oggetti ed eventi che mettano in dubbio i metodi e le strutture gerarchiche esistenti nei metodi tradizionali e organizzativi. Miller ha presentato mostre personali utilizzando fotografia, pittura, scultura, installazioni, performance, e lavori sul web.
Uno dei suoi lavori più importanti è l’invenzione del John Erickson Museum of Art (JEMA). Lo JEMA è un Museo viaggiante, in forma di stanze di museo miniaturizzate e contenute in una valigetta. Lo JEMA ha presentato, in collaborazione con gli artisti mostre di Yoko Ono, Ben Patterson, John Feodorov, Gregory Green, Kristin Lucas, Arnold Mesches, Andrea Robbins and Max Becher, Bethany Taylor, Sean Taylor, Sergio Vega, e altri.

JACK MASSING con il gruppo The Art Guys ha sperimentato materiali e attività differenti nel tentativo di espandere i confini dell’arte. Scultura, disegno, performance, installazioni e video sono le varie forme nelle quali sono stati utilizzati cibo, droghe, matite, mazze da baseball, bandiere per auto, spazzolini da denti, e fiammiferi… Questi sono soltanto un piccolo esempio dei materiali non convenzionali utilizzati. Usando una metodologia aperta e diretta al pubblico, sono state presentate mostre in negozi di commestibili, cinema, aeroporti, ristoranti, campi sportivi e molti altri luoghi non convenzionali. sfruttando i mass media e l’intrattenimento per esplorare la società contemporanea e i suoi problemi e le differenze tra arte e vita.
Giannetto Fieschi
UN UOMO SOLO (al comando) CICLISTI 1949
Giannetto Fieschi
Giannetto Fieschi

14 aprile - 8 giugno 2022
Ciclisti 1949

Inaugurazione Giovedì 14 aprile Opening h. 18.00

Con la mostra Ciclisti Limbania Fieschi e Raffaela Musso iniziano l'attività della galleria Spazio Unimedia: "ci proponiamo di lavorare in continuità con la significativa tradizione di Unimedia e contemporaneamente in ottica innovativa attraverso la sinergia con una piattaforma di gallerie internazionali". Vi aspettiamo!

All'interno dello Studio e dentro uno tra i cento cassetti di un Archivio dedicato all'attività espressiva su supporto cartaceo, dalla vasta produzione calcografica al disegno, estrapoliamo un Ciclo di grandi fogli dedicati alla relazione intercorsa tra il Fieschi-Uomo e la bicicletta, una mitica Bianchi, recuperata, restaurata ed esposta, riconducendo al Fieschi-Artista. Si tratta di un processo circolare che svela attraverso lo spazio della Galleria la dimensione performativa posta alle spalle di un autore che anticipa14 aprile - 18 giugno 2022 Giannetto Fieschi Ciclisti 1949 Giovedì 14 aprile Opening h. 18.00 la relazione tra Arte e Vita su cui si fondano le Seconde Avanguardie degli anni '60. Nella relazione tra l'uomo e il mezzo intercorre come fondo prioritario quella ricerca del 'piacere' che da fisico, condotto attraverso lo sforzo del corpo, il suo surriscaldamento, l'impegno progressivo fino al raggiungimento dell'obbiettivo, giunge al 'piacere' estetico, come somma esperienziale di un processi di immedesimazione e trascrizione visiva. I fogli 'raccontano' le tappe di un percorso di trascrizione in cui lo 'strumento' del piacere - la "Bianchi" da corsa - pone sotto pressione il corpo, permettendo alle diverse anatomie di specificare la propria carica lungo quell'asse che coinvolge l'ironia con i processi analitici della forma, l'eros con il disegno antico, la rivisitazione picassiana. Si tratta di una realtà iconografico-esperienziale assolutamente significativa, attestata dalla Collezione di disegni e di grafiche, rafforzata attraverso soggetti fotografici condotti anche in auto-scatto che rispondono ad una metodologia che possiamo definire 'performativa'.

Se lo sguardo operativo di Fieschi sembra soffermarsi su quella condizione del piacere introspettivo percepita attraverso l'eredità' secessionista, sostenuta nel dialogo con un'estesa carica espressionista, in realtà dobbiamo ricondurre l'intera sua operazione al riconoscimento di un'operatività fondata su un processo ed un'azione di riavvicinamento, svolta in prima persona e sotto forma di testimone-attore.

Andrea B. Del Guercio
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