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MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT

Energia, luce, immaginazione sono il filo conduttore del lavoro di Maya Zignone, che SPAZIO UNIMEDIA ospita dando il benvenuto all’estate, al fecondo, alla gioia. La sua ricerca, originata a partire da segni su piccoli fogli di carta, si basa su un’idea di spazio e di vuoto, come lettura di equilibri, di forze, di pause, di scansioni tra la luce e il buio. Con lei saremo liete di prendere parte alla quarta edizione di Be Design Week 2023, nel Chiostro di Santa Maria di Castello, dal 23 al 28 maggio prossimi.
  • MAYA ZIGNONE - JUST LIGHT
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Cercare continuativamente delle idee che siano all’insegna dell’equilibrio tenendo sempre attiva la tensione che mi serve soprattutto perché non si diano dei cali di energia. Da qui la definizione di percorsi e strutture per inventare nuove spazialità, magari appena intraviste, connesse a una forma, quindi all’inesistente, insomma a un pensiero. Lavoro in sostanza sul vuoto: che si delinea, si dilata e così facendo dà luogo all’invenzione, a dimensione altra, fino alla definizione di uno o più spazi in cui l’osservatore può entrare e uscire come attraverso un ‘gioco’ serio, rimanendone forse contaminato. Utilizzo principalmente la luce, è molto importante per me, diventa strumento compositivo e diventa forma, mi permette di creare scenografie che dialogano con lo spazio in bilico fra realtà e invenzione, architettura e idea, teatro e vita, nascono accordi come nella musica, che regola ogni rapporto creativo. Perché qualsiasi suono, anche i rumori, sono musica: John Cage diceva che anche ogni rumore è musica, basta saperlo organizzare.

Maya Zignone


Lo spazio non è una struttura astratta e geometrica, ma l’estensione reale dell’intuizione e dell’esperienza.

Leonardo da Vinci


       Maya Zignone – oltre il vuoto c’è solo lo spazio

“Una linea è soltanto una linea”, scriveva Piero Manzoni sessant’anni fa. “Just Light” recita una delle opere di Maya Zignone esposte in questa inedita occasione genovese. Effettivamente si può far risalire agli anni Sessanta, a quella fervente e rivoluzionaria epoca – minimalista e concettuale, ma anche carnale, sensibile, ecologista e sociale – l’origine del linguaggio espressivo di Maya. A dimostrarlo non è soltanto l’esplicito utilizzo del neon colorato, teso a costruire relazioni con l’architettura e lo spazio, sempre e comunque rivolgendosi all’interlocutore emotivo e psicologico umano. C’è di più. Un segno primario, che corre e attraversa tutte le sculture, le fotografie e le foto, restituisce il senso installativo, ambientale e performativo ai diversi media impiegati dall’artista. Si tratta di un segno pre-linguistico ma anche post-industriale e post-tecnologico. Si tratti di un tondino di ferro spiralato o di una serpentina di neon orizzontale, questo segno ha origine nel profondo sentire emotivo di Maya Zignone e inizia a prendere forma dal disegno. Stupisce pensare che alla base di questi ambienti immersivi e multimediali ci sia il disegno: matita e gomma per governare equilibri tra pieni e vuoti. L’azzeramento di forma e colore è astrazione necessaria a ripulire la mente dal turbine di immagini, segnali e stimoli cacofonici con cui lo sciame digitale amplifica l’ideologia del consumo. Il silenzio del foglio bianco è una tabula rasa dalla quale ripartire: la matrice virtuale che restituisce corpo e sostanza a spazi mentali. Stabilizzate le tensioni in vettori e contrappunti grafici, Maya Zignone può invadere lo spazio tridimensionale e confrontarsi con il corpo, prima di tutto, ma anche con i ritmi, le pulsioni e le difficoltà del reale. In generale l’opera di Zignone ha molto a che fare con il concetto di cura. Si tratta infatti di un lavoro teso a sviscerare e rammendare i meccanismi che innescano il blocco comunicante fra individui. Nel confronto con lo spazio e con il pubblico, anche la luce colorata del neon e la fotografia diventano energie da organizzare. Si percepisce pertanto un equilibrio interno ad ogni singola opera, ma anche un bilanciamento stabile, fortificato dalle relazioni che i lavori stabiliscono reciprocamente attraverso una precisa funzione fondamentale, variabile ma sempre costante e interna allo spazio, una funzione che non è altro che la nostra umana e spogliata presenza.

Luca Bochicchio



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