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THREADS, punto a capo

"Il disegno, come annotazione e limite, si dissolve per lasciare emergere differenti tecniche e linguaggi, in una dimensione processuale che evolve con lentezza e non si definisce da principio, ma, anzi, cerca la trasformazione" a cura di Paola Pietronave @andreahess_freiburg @francesca.migone
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Entrare in risonanza

a cura di Paola Pietronave

L’idea alla base di questo testo è di mettere in dialogo e in conversazione i lavori e le pratiche di Francesca Migone e Andrea Hess, in occasione della mostra presso la galleria SPAZIO UNIMEDIA a Genova. Si tratta di un parlare “a fianco”, più che di un “parlare di”, come indicato da Trin T. Min-ha, filmmaker, scrittrice, teorica della letteratura, compositrice e professoressa di Gender e Women’s Studies e di Retorica. Questa posizionalità permette di aprire all’ascolto reciproco e al confronto, al mutuo riconoscimento di somiglianze e differenze, senza la pretesa di decifrare e codificare, assumere e teorizzare con una “visione dall’alto”. In questa dimensione di vicinanza è possibile trovare aperture per inaspettate sensibilità e densità condivise, lasciandosi un necessario spazio di respiro e autonomia. Quanto fa seguito sono alcune note e domande emerse durante una conversazione tra le artiste e la curatrice, avvenuta in data 20 febbraio 2024.

Paola: Mi piace pensare questa mostra come l’occasione per un dialogo in divenire, una conversazione tra i vostri percorsi e lavori che attraversa lo spazio così come il foglio, conducendo a momenti di vicinanza, dialogo e confronto, così come a momenti di maggior respiro, le vostre ricerche possono trovare il proprio spazio e la propria dimensione... per questo motivo l’idea di una conversazione, in cui le vostre parole e le vostre sensibilità possono trovare il giusto spazio e tempo...

Andrea: Mi piace questa prospettiva. A tal proposito, sono incuriosita dai lavori in stagno di Francesca, a cui ti stai dedicando nell’ultimo periodo...

Francesca: Sì, si tratta di lavori recenti, che ho realizzato per sperimentare e discostarmi dalla pratica esclusivamente tessile che ho spesso portato avanti finora. Si tratta comunque di lavori sulle texture e sulle superfici, quindi il concetto di tessitura rimane, ma il linguaggio e la tecnica sono diversi. Si tratta di stagno colato in stampi di argilla, al cui interno ci sono vari elementi rocciosi, pietre e frammenti di ceramiche e plastiche raccolti vicino al mare. Alcuni elementi di stagno si trovano anche nelle corde, e in alcuni lavori tessili presenti in mostra... Il metallo è un elemento sempre presente.

A: In qualche modo l’attenzione è sempre verso l’ambiente, come nei tuoi lavori tessili. Qui noi ci distanziamo: tu lavori più guardando all’esterno, io lavoro più guardando all’interno e alla memoria.

F: È vero. Ho notato che spesso tu utilizzi fazzoletti e tessuti antichi. Qual è la storia dietro a questi elementi?

A: Spesso mi vengono regalati da signore che mi portano i loro corredi, entusiaste dell’idea che qualcuno li possa usare. Per me il tessuto è come la carta, e i filo nero è come la matita. Il disegno con la macchina da cucire mi permette di uscire da quell’ordine imparato attraverso il disegno, e mi sorprende. Quando cucio vedo solo la piccola porzione di tessuto sotto l’ago, e devo concentrarmi per non perdere il filo, che è anche un filo interiore, che seguo con il movimento. È anche un atto di memoria, ed è quello che mi incuriosisce; un’idea che non so come sarà alla fine. Mi piace la morbidità del tessuto, e la sua praticità: è leggero, mi accompagna ovunque. Quando disegnavo utilizzavo spesso la tecnica a olio e il graffito, sempre con un’attenzione alla linearità e, recentemente, in maniera inaspettata, sono ricomparsi i colori, una nuova sorpresa. Nei tuoi lavori sento simile l’attenzione alla linea, che il filo e il metallo sembrano seguire... Il disegno è una parte importante della tua ricerca?

F: Sì, c’è sempre una traccia o un’immagine di partenza, che sia una fotografia, o un disegno fatto da me, che poi viene trasformato nel processo e si perde. Ho dei fascicoli di carta velina archiviati, che sono i modelli da cui nascono i lavori, probabilmente questo approccio risale ai miei primi studi di moda, in cui tutto nasce dallo schizzo e dal cartamodello; un disegno essenziale, che poi andrà a scomparire nell’oggetto. Con il tessuto spesso è diverso, per me si avvicina alla scultura, per il tipo di manipolazione e di tecnica.

P: Come raccontereste il percorso dei lavori che avete scelto di portare in mostra?

A: Per me si tratta dello sviluppo del disegno cucito dal 2021: c’è il disegno più contemplativo, piccolo e concentrato, e un lavoro di dimensione più grande, Nessun dorma, una nave, che per me è un lavoro più gestuale, un disegno più libero e impegnativo da realizzare con la macchina da cucire. Ci sono anche oggetti scultorei - soft scupltures - che rispecchiano il mio interesse per la tridimensionalità, e una serie di cartoline, dresscode, che sono nate dopo aver visto a Milano insieme a mia figlia il muro dedicato ai femminicidi. Si tratta di un’osservazione, che fa uso anche di una certa ironia sulla costante esposizione del corpo nudo femminile.

F: Nel mio caso sono lavori diversi, che seguono le ricerche portate avanti dal 2020 a oggi. Il primo è un progetto sulla dimensione acquatica della città di Milano, realizzato durante una residenza, e si tratta di tre corde installate in forma circolare. Molti corsi d’acqua a Milano, così come nella Pianura Padana, sono stati tombati o bonificati, così ho scelto di percorrere a piedi la città per trovare tracce in cui l’acqua riaffiora, per seguirne il percorso.

Questo mi ha portato ad attraversare zone periferiche, cantieri, aree in cui la campagna incontra la città. Spesso molte mie ricerche nascono dal percorrere lo spazio, non in maniera casuale, ma a partire da un’idea, un nucleo di interesse. Ho così realizzato una documentazione fotografica, da cui originano i colori e i materiali dei lavori. Si tratta di una sorta di mappatura tridimensionale dei residui incontrati durante il percorso. In rapporto a questo, ho deciso di portare in mostra un lavoro che è dedicato all’ambito portuale, da un’osservazione di ciò che resta nel porto: corde vecchie, pezzi di rete rotti... Materiali che ho raccolto e attraverso tecniche di nodi e macramé ho trasformato in corde, con l’idea di realizzare un oggetto che sia a metà tra il manufatto e lo scarto trovato. Anche i lavori in stagno nascono in ambito marino e portuale, e anche in questo caso di tratta della raccolta degli elementi trasportati dalle onde. Mi interessava il concetto di risacca, un moto ondoso che gira su se stesso, l’onda che porta qualcosa tra gli scogli, lo plasma e lo riporta al mare; una manipolazione dei residui che avviene tramite l’onda. I lavori in stagno sono calchi della schiuma del mare, in questo caso della costa genovese, che imprigiona i residui e i detriti. Si tratta di una schiuma che diventa densa, “acqua sporca”, al cui interno si trovano componenti chimiche, organiche, plastiche, vicine al concetto di “vischioso”, che provoca disgusto e repulsione, sebbene faccia parte della dimensione umana e naturale. Si tratta quindi di tre sperimentazioni di forme e linguaggi diversi.

P: Ci sono elementi che risuonano tra le vostre pratiche, secondo voi?

A: Credo ci accomuni il voler osservare e percepire la società. Per Francesca il movimento nasce dall’ambiente, mentre per me nasce dall’interno, da una dimensione più intima, dalla memoria.

F: Trovo simile anche l’intervento su materiali che hanno una storia, o una moltitudine di storie, e la dimensione sperimentale, la riflessione su una manualità diversa dal disegnare o dal dipingere, in grado di aprire a un esito inaspettato, e che richiede di pensare al lavoro in un modo diverso, un “riflettere nel fare”.

Un attraversamento dell’ambiente esterno e dello spazio interiore, dunque, nato dall’osservazione e dall’attenzione per gli elementi minimi, l’infra-sottile, il residuo e la memoria, che vengono riportati sul foglio o sul tessuto e manipolati, in un processo trasformativo che si concede la sorpresa di un esito inaspettato, percorrendo e sostando nel tempo e nello spazio della ricerca e della contemplazione.

Il disegno, come annotazione e limite, si dissolve per lasciare emergere differenti tecniche e linguaggi, in una dimensione processuale che evolve con lentezza e non si definisce da principio, ma, anzi, cerca la trasformazione. I lavori delle artiste installati nella mostra seguono il ritmo di una conversazione, simili a un galassia con densità e ritmi differenti, in cui interrogarsi e avvicinarsi, per poi rarefarsi, in un attraversamento organico e coerente dello spazio.

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